NarrAZIONE
Gabriele Ercoli nasce nella campagna fermana, quando, alzando le ciglia sopra i solchi tracciati dalla madre, la città, chiusa, piramidale e lontana rovesciava ancora il suo nitido vertice nel vuoto della valle: losanga con le Moje.
Nelle dita in terra la saliva. Terra alla bocca percepita prima, sapore dentro e fuori quella mobile culla.
Più tardi attraverserà molte volte il fiume Ete Vivo nel vivaio di via Pompeiana, scalzo, in mano alla madre, per vedere i carri agricoli fiammanti scolpiti e dipinti da Alessandro.
I primi modelli dei suoi giocattoli di legno con le ruote tenute dai chiodi.
Tanto è il destino dell’arte, nell’Istituto di Fermo. Sei anni tra ceramiche e metalli. Poi l’Arno, l’alluvione, un’altra città di terra e fango.
Tra scavi e riscoperte, esperienze, sgorbie, scalpelli e studi. E il titolo di maestro d’arte, con lode, nel ’68.
Da una campagna all’altra, sette anni di nebbia a Caravaggio. Ritorno alle origini, dentro la magia dei Sibillini, riscoperta della sua terra.
L’albero d’oro, fatto di due, un acero colmo di grappoli. Le viti arrampicate alla casa del nonno reduce (come in un dipinto di Wan Gong al museo di Amesterdan). Il nero del letame pressato, maturo e fumante. La sorgente d’acqua fredda dentro il pozzo, dove si poteva vedere il cielo.
La grande mucca bianca nella stalla. Il suono dolce dell’aratro di legno nell’aria impastato di polvere e quello dello zolfo soffiato sui pampini. La Grecia della memoria.
Nell’84 l’adesione spontanea al gruppo Il Basilisco; tra impasti, luce e colori dal fuoco. Esposizione
delle terrecotte nell’86 alla galleria L’idioma di Ascoli Piceno con il titolo “Rubare alla terra”.
Nello stesso anno la partecipazione al Concorso Internazionale della Ceramica a Faenza.
Dall’88, uscito dal gruppo, dimora tra le mura della città antica dove, grazie all’artigiano Pericle, riesce ad occupare la Chiesa della Congregazione degli Artisti e dei Mercanti sconsacrata da anni. Una grande cripta della Chiesa di San Martino.
Il luogo era carico di energia. Di notte il tempo batteva dilatato al soffio di un grande allocco, che sopra il trono di una gigantesca abside a canna nidificava.
Dentro la chiesa-studio si avvertivano presenze e tensione, come nella soffitta della casa d’origine. Sembrava di non essere mai soli. Psiche prendeva il suo destino ripensando a quando la madre lo accompagnava in quello stesso luogo al Mattutino per l’Ascensione. L’iniziazione.
Da una terra ad “un’altra”, anche sua. I primi saggi affondati in quelle fibre di legno industriale (medium density) scartate dalla falegnameria Gentili e Brestoli. Tavole aperte, separate e strappate a livello molecolare con le quali l’artista si sente subito in empatia, definendole antimateria.
Dello stesso tempo (88) l’illuminazione davanti ai lavori di Osvaldo Licini a Monte Vidon Corrado. I mattoni di fornace del paese apparivano d’oro. La luce bizantina della fibra, scagliata, che intanto si veniva sperimentando, i segni come crine si rivelavano impastati con le opere di Licini, dai suoi colori accesi, dalle pennellate sfrangiate dei Missili lunari. Le epifanie de suoi strumenti di lavoro, degli indumenti, dei bastoni, di alcuni scritti poetici, dei luoghi sono state come divinatorie; tanto da far restare beatamente l’artista seduto a terra, senza tempo.
Un fenomeno immanente. Come è successo a Rothko fissando più volte l’opera Atelier Rouge; di Matisse. In seguito anche la cosmologia e la simbologia dei numeri, (88×88+8; è il titolo di un’opera), segnano simbolicamente questo tempo dell’arte.
Le avanguardie storiche, la fiducia al fare del periodo della transavanguardia, la creatività l’imprevedibilità del nuovo materiale spingono a scoprire l’interazione dei pigmenti ritratti dall’assorbenza del medium. Altri artisti, in senso orfico, accompagnao la ricerca e la sperimentazione di Gabriele: Michelangelo, Giorgione, Goya, Munch, Van Gogh, Matisse, Rothko, Burri e ,direttamente, i maestri espressionisti dell’arte lignea umbro-marchigiana. Il paesaggio è ormai dentro scavato, magnetico e lunare.
Durante la guerra del Golfo, “Ercoli 88”, la prima personale (1991): la terra d’origine diventa quella di tutti. Opera, “Una parete di luna e una finestra di buio”; i solchi dolci dei campi del nonno opposti alle trincee irachene dove furono seppelliti corpi ancora vivi dalle ruspe.L’opera “Astro”, circolare, magnetica. L’angelo anarchico, nero, con le ali spezzate. Città vibranti, metalliche, bruciate, corrose di cui “ci sembrava impossibile.
Nel ‘93 espone “123 Luoghi”;. La prima volta delle grandi tavole spaccate con le superfici amorfe, opposte alle vive fibre interne tratte in superficie.< Tra queste “Chino”, che insieme a “Passaggio Archetipo”; e “88×88+8”; gli sono valse il premio internazionale MIART e l’esposizione alla galleria milanese Philippe Daverio dei cinque Testi Haggadah;.Nel ‘95, prima di rifugiarsi
nell’interrato di Palazzo Azzolino, allo Spazio Zero; della chiesa studio da sgombrare, espone su cavalletto Passaggio archetipo”, spaccato cobalto dal quale una zolla astro, più azzurra, si stacca in
profondità dal cielo.
Da questo luogo porta con sé una tabella in legno scritta, sulle due facce, a doppio gancio, sopra e sotto la cornice. In modo tale da potersi capovolgere e girare. Ed avvertire degli uffizi per i defunti , oltre che ai morti, movendolo, ha fatto sempre pensare alla sorte di un quadro di Malevic che i rivoluzionari avevano appeso al contrario e ai disegni double face di Licini.
Il fuoco brucia dentro la biblioteca grande di Sarajevo. Dagli altopiani del Fermano, le strade
bianche ortogonali al mare bruciano come proiettili accesi, sullo stesso cielo. Nel bunker, nascosto nel silenzio del nuovo studio di Palazzo Azzolino, senza aria e poca luce, come uno scriba, continua a scavare le tavole fino ad oltrepassarle con fessure ed implosioni telluriche: è la serie dei FrattiNeri, che mettono in luce la realtà nuda compressa sotto la nuda tavola.
Il critico Roberta Ridolfi, davanti a queste opere, cita Michelangelo parlando di scarnificazione dell’anima e di assorbimento della storia.
Il poeta e scrittore Lucilio Santoni citando Jean-Luc Nancy scrive per Ercoli: “C’è una voce nella
comunità che si articola dall’interruzione e nell’interruzione.” Nello stesso periodo a Spoletoscienza ascolta l’antropologo Remo Guidieri sul tema della cura, mentre cita l’opera di Tiziano “La Condanna di Marzia” scorticato vivo.
Si ritrovano per caso a Moresco. s’intendono e passano più volte insieme l’altopiano di Colfiorito, bevono acqua al valico del cielo e sostano a volte attesi dall’amico Angelo l’indiano, prima di gettarsi in auto nella Val Topina.
Nel 96 lo raggiunge a New York dove conosce Francesco Clemente e Ilya Bernenstein. Clemente meravigliato della singolarità originaria delle opere di Gabriele estende l’attenzione anche sul suo volto e quello di Ilya esclamando: Remo! Dove li hai trovati questi due mormoni? Gabriele più greco ed Ilya rabbino ebreo.
1997) Invitato dal Comitato scientifico del Centro Studi Osvaldo Licini, espone a Monte Vidon
Corrado “OCITAIRDA”, in senso speculare. Sul fondo del mare nè pesce né Lisippo ma bombe.
Una ricerca avanzata che affonda nel medium e nella storia. Fermo è di fronte al mondo e la realtà una grande pala d’altare che ci precipita addosso spaventosamente. In tale occasione, Remo Guidieri, nello scritto G:E:1, evidenzia affinità simbiotiche e simboliche tra l’artista e il suo medium, l’attaccamento alla sua terra e il suo sguardo rivolto verso il cielo.
Il cielo di Cerreto, dono per l’amico Giuseppe, direttamente ritagliato nell’azzurro. L’opera Olmo, omaggio ad Osvaldo Licini, piantata sulla terrazza davanti alla sua casa, preludio al tema del Bosco.
La Torre, nel catalogo Ercoli 999, un’idea per Moresco rimasta nell’immaginario.
Numeri e tempo continuano a preservare l’arte, archetipi di un nuovo flusso per la Galleria 999; che ne riprende anno e nome. Quello in via degli Aceti (sempre in un seminterrato) rimanda ad un doppio viaggio rappresentato in due opere dell’88-;89: una tela dipinta ad olio con una dea picassiana, Iside? che entra negli Inferi zuppi d’acqua, mentre al suo passaggio crolla un portale di via Leopardi, tra pesci rossi e un uccello annunciatore; Una tavola scavata con una grata divelta su via degli Aceti , pensando a Paul Klee: titolo: “Trasfigurazione”.
La pietra d’impasto romano incastonata nella muratura, alle spalle dell’artista che lavora al banco di sempre, si è fatta nuvola, bolle di breccia leggera, tra gli Oracoli azzurri altre opere-in fibra: nuvole.
Fuori, nella corte, sull’asse scavato nel rocchio d’una colonna, sboccia oggi un fiore, vicino agli alti steli intagliati del Bosco, che, stretti nello spazio affondano le loro chiome fantasmatiche nell’unico azzurro di passaggio, quello delle nuvole, del cielo.
Al passaggio del millennio, arricchito del valore della sua ricerca, sempre più convinto delle possibilità della sua altra materia, l’artista, continua a perseguire il gesto forte dei padri, battendo le
sue tavole anche da tergo e portare in superficie la loro profondità come la vita: mazza, morsetti, cunei, matita industriale, ascia, sgorbia, scalpelli, segno-sega. Ortoprassi;, giusta economia dei mezzi. Daniele Van De Velde scriverà di un’artista che ha deciso di non perdere nè di vista nè di mano, la terra originaria che fissa e sola dà senso, simile nei suoi gesti tesi a raggiungerla, al bambino che con uno sforzo immane si spinge con la fronte verso la luce della nascita.
2002) Allestisce una situazione nella casa-museo Periferie; esponendo sui campi aperti di stoppie “LA DEA DELLE LUCCIOLE”, moderna sintesi di tre culture arcaiche, con ceramica, acqua e luce. Per la stessa casa, partecipa alla collettiva Del guardare e del vedere;, il 13 Dicembre, giorno di Santa Lucia, realizzando due vassoi neri prestampati, chiusi specularmente, con le superfici opposte strappate a forma di occhi.
2003) Ferrara, il BOSCO degli ESTENSI, una scelta poetica fortemente evocativa rapportata alla
natura originaria del luogo, sopra le chiome silenti, appese alle vele del Castello, ”Le Navi dell’Aria”.
Espone alla Galleria dell’;Arancio, Grottammare, le opere: “La Grande Zolla” e i “Fratti”.
2004) Espone MESOPOTAMIA, una serie di FrattiNeri nell’ex Consorzio Agrario abbandonato di Fermo, semidistrutto dal tempo. Nello stesso anno, mostra nel suo studio: “Il Tipografo” un cilindro con sopra il ritratto in ceramica dello ”stampatore” delle ”Impronte federiciane” appese alle pareti realizzate senza torchio. “Appesi alla luna”: un vaso-figura alta un metro e sessanta ispirata alla cultura Picena a quella Ittita e a quella Egiziana, soprapposta a un semiglobo in trucioli di legno.
2005) Espone ”MESOPOTAMIA” alla Irwin S.Chanin School of Architecture of the Cooper Union di NEW YORK in occasione della conferenza dell’Antropologo Remo Guidieri ”Knots & Crosses”.
2006) è Natale, espone “E’ NATA UNA FOGLIA NUDA DELLA SUA CULLA”: un “nido” d’acqua scavato nel medium che capovolto come zolla aperta alla luce si mostra a conchiglia.
Opere imprevedibili, “esplose”, spezzate, in fibra strappata rivoltata e flessa, che fissano l’attimo nel passaggio di massima tensione ed espressività poetica. Nella mente, il volto del contadino fucilato nella tela del Goya, una presenza continua decisiva. Voci che parlano nel cammino d’artista. Voci interiori, che si riconoscono salendo sulla magica montagna Sibilla o ricreando in
studio un alter ego in ceramica, “Argo-Fermo”, che sembra uscito dall’acqua, per essere destinato a ruotare sull’asse del cosmo a guidato dalla musa.
2007) Espone a Bergamo “LUCE NELLA LUCE” con il pensiero rivolto alla luce delle tarsie del Lotto di S. Maria Maggiore. Nello stesso anno, invitato per una collettiva dalla galleria Dieci.due! di Milano, espone nel palazzo Montica di Pordenone l’opera “Caravella”: 22 cammelli in plastica stivati su una zattera trasparente per un doppio viaggio di onde e di dune. Espone poi nel suo studio di via Padova, trasformato in galleria (Ghost Gallery) i nuovi lavori milanesi in M.D.F. colorato reperito nel cuore della Brianza.
2008) Milano, espone all’Isola “L’INDECIFRABILITA’ dell’ ORACOLO: 24 opere fratte nere e schegge “di guerra e di piombo”, due visitatrici milanesi di fronte alle opere chiedono all’artista se, le forme che vedono nei rilievi delle opere sono proiettili? Ercoli, sorpreso risponde: “Si Signore, ma come avete fatto a riconoscerli?”. Una delle signore a sua volta: “Perchè a Milano durante la guerra li ho visti”. E’ Natale, dopo appena un mese, scatta l’eccidio israeliano dell’operazione”Piombo Fuso” in Palestina.
2009, 3 Giugno a Milano espone L’ALBERO della LUCE nell’Oratorium Passioniss in Sant’ Ambrogio, con la galleria Blancheart, allestisce il suo dono fondante alla città in chiara crisi culturale. Mostra nel contempo un’alternativa al padiglione Italia della Biennale di Venezia “curato” da Luca Beatrice in modo illegale, mafioso e leghista (misera opera “Lepando” di Pignatelli con errata critica su analogie con Burri e lo smacco internazionale della selezione operata nel padiglione Italia di “non opere d’arte attribuite” a Lodola).
Durante l’esposizione Gabriele ha modo di conoscere amici di Gian B. di origini ebraiche, in particolare uno, che sotto l’effetto del vino rosso tracannato direttamente da una damigianetta di 5 litri dichiara di essere stato premiato dal governo israeliano per aver fatto costruire interi quartieri interritorio Palestinese.
Tra le visitatrici della mostra una nobile signora di Milano, rivolgendosi all’artista, avvolta nella poetica dall’allestimento elogia la forza della terra marchigiana e l’originaria della sua cultura chiedendo a Gabriele se fosse disposto a vivere una esperienza spirituale a contatto con eremiti Copti dell’alto Egitto./Gabriele risponde: “molto interessante, grazie del rimando, ma è più essere eremita in Italia”.
Nello stesso periodo milanese conosce Corrado Levi Corrado Levi alla Libreria delle Donne, si danno appuntamento a Porta Romana dove parleranno dell’allestimento da lui curato alla biennale di Venezia del 1958 per O. Licini rivelando i cambiamenti percettivi apportati allo spazio su indicazioni del maestro, Gabriele ascolta attraversato da vibrazioni affioranti sulla pelle. Si salutano dopo che Corrado avrà valutato meravigliato la qualità delle opere portategli da Gabriele rimanendo incredulo sulle difficoltà di affermazione che lo stesso trovi nel contesto milanese. .
2009) I MURI. Espone allo Spazio Tadini di Milano la serie “Berlino”, collettiva sui “Muri”, un tema caro ad Ercoli che rimarca il suo passaggio di ricerca, controcorrente sul futuro dell’occidente sempre più in guerra, iniziato già a Fermo dopo 89. Nello stesso spazio parteciperà ai dibattiti periodici sull’arte con esperti del settore, in uno di questi vista la confusione degli astanti Ercoli sostiene che l’arte è una cosa e la Doxa un’altra, giudizio sostenuto dal gallerista storico G. Marconi.
2009) Nell’estate dello stesso anno, realizza il film ”Dell’Adriatico: uno sguardo poetico dal cielo dell’Arte”, girato sugli “Altopiani” del fermano, “seguendo” la grande bocca dipinta da Man Ray nell’opera “Nell’ora dell’osservatorio, amanti” che per Ercoli diventerà l’occhio capace di vedere il dramma Slavo. Allestisce cinque stanze di una casa colonica abbandonata ”’di fronte al mondo” ( monte Serrone, vicina all’osservatorio di Pedaso), una sintesi di opere dai luoghi dell’origine verso una la terra di tutti dilaniata. Solo quando si recherà a Parigi percorrendo la via che percorreva Man Ray per recarsi nel suo studio in direzione dell’osservatorio posto sopra il giardino Lussemburg, Ercoli scoprirà l’emozionane relazione. Nel Gennaio dello stesso anno frequenta a Milano il “Circolo della Stampa”, dove F. De Bortoli organizza un incontro tra il veterinario Istraeliano Eyal Misrahi, la giornalista Palestinese Rula Jebreal Moni Ovadia sull’operazione “Piombo fuso” da parte di Israele in Palestina. Ercoli, ascoltando i racconti turistici del veterinario, tranquillo accompagnatore, è costretto ad intervenire ribattendo sulle morti coperte dal fosforo a Gaza, sulle zone desertificate, sui civili bambini e partigiani Palestinesi deportati, torturati e uccisi nelle prigioni israeliane, sulle terre sempre più occupate illegalmente e sulle risorse dal mare al muro rubate.
2010) Occupa i 1000 metri quadri dell’Ex Consorzio Agrario di Servigliano (FM), in 4 mesi lo risana, lo imbianca, lo illumina e lo allestisce della mostra “Quattro-4”. Sedici opere commentate in schede, in catalogo n. 8 per ogni sezione: Dell’inizio – Della terra – Del cielo – Della guerra. Rappresentano due origini: locale-universale. Sintesi ideale e simbolica suggerita dalla pianta quadrata della città e dall’architettura a 4 campate della struttura. Doppio epicentro di terra dove l’opera affine affiora al mondo prima che i musei ne riducano la piena funzione evocativa strappandola all’oblio dei luoghi dove è nata.
2011) PERLASO, una mostra di 16 opere ”commentate poeticamente” direttamente dall’artista. In catalogo anche due sue poesie nate dalle stesse esperienze vissute contemporaneamente sui luoghi dove sono nate le opere. Un viaggio espositivo esteso su 80 km, dai Sibillini all’Adriatico, che seguendo l’acqua del fiume riflette l’eterno. Una proposta espositiva autentica che consente di vedere le opere nei luoghi dove sono nate alternativa a “ILLUMInazioni del critico impotente Sgarbi che senza sceglierle accatasta Tir di opere in laguna.
Destino dello stesso anno, la segnalazione per la Biennale di Venezia con l’opera “Appesi alla Luna” che si rifiuta di esporre perchè in disaccordo con il “segnalatore-curatore sgarbiano” per le Marche che la voleva menomare. Accetta invece quella per l’opera “FrattoNero” “segnalata”da Walter Scotucci che esposta alla Sala Nervi di Torino per la chiusura della stessa Biennale ritira poco dopo aver assistito al“rito” inaugurale ridicolo della “Star” Sgarbi e valutato all’ingresso del padiglione un retorico Pignatelli con un clonato Boetti firmato Nespolo.
2011) A Milano frequenta VIA FARINI Open Studio, partecipando alla dialettica critica sul mondo dell’arte: incontro con Lia Vergine chiamata per dare lustro ad un luogo che alleva aspiranti capaci di produrre solo esercitazioni didattiche. Incontro sulla biennale “ILLUMINazioni di Sgarbi” dove Ercoli pur ponendo domande logiche viene censurato. Paradossale che parlare di una biennale istituzionale in uno spazio istituzionale finanziato col soldi pubblici si venga silenziato al microfono nell’ipocrisia e nel conformismo della città (eppure molti anni fà Apollinaire o Duchamp avevano indicato fuori degli spazi deputati la ricerca dei futuri artisti).
Ma il periodo bavoso tra Milano e il Mose inaugurato da L. Beatrice (padiglione Italia illegale della cricca amicale-leghista dell’anacronistico Pignatelli e del nullo seriale Lodola) era ancora in lievitazione; si accoda M. Farronato (relatore specchiato direttamente da Via Farini); un retorico ibrido A. Gioni (lontano dall’attualità e dal puro piacere estetico); non paghi segue la Cecilia A. (biennale al femminile che clona quella precedente del compagno M. Gioni, recuperando un passato molto artigianale che scambia il puro decorativo con lo spettacolo omologato ormai endemico).
Visita le mostre organizzate al centro dell’arte contemporanea OPEN CARE. Una dedica particolare va a Oliva Bollito quando presentando una mostra di Cucchi con disegni (non giotteschi) dal tratto morbido, largo e sfumato, si inventa un paragone inappropriato con i “segni pungenti, scattanti, sfrangiati e taglienti” di Licini.
Oppure ascolta Sandro Chia mentre racconta frottole sulle tele trasportate di persona nelle gallerie Newyorchesi, stese ancora bagnate di colore sui pavimenti (Targate Fiat?).
2012) MAZZETTA NERA, allestita nel mulino “moderno” e abbandonato di “S. Benedetto” di Rapagnano, lungo la provinciale Faleriense, da dove l’artista dona di notte agli automobilisti di passaggio banconote “AAArcore” serigrafate, “coniate dalle pulegge rotanti dello stesso mulino”.
2013 / 2014) Occupa la Cabina Elettrica di Ponte Maglio lungo la valle dell’Aso (territorio di Monte Falcone Appennino), un vecchio sogno degli anni 90 quando tentò di acquistarla dall’Ufficio Patrimoniale dell’Enel. Due anni fantastici in un luogo magico tra il verde vicino al fiume, ne fa il suo studio, su tre livelli incluso il terrazzo. Realizza al suo interno le opere “Simbolo Cardinale” e altre due della serie “Ermete” appartenenti alla grande trilogia che fa riferimento all’opera di Giorgione “I tre Folosofi”, dopo aver realizzato la prima dal titolo “Serpente Alato” nell’ex Consorzio Agrario di Servigliano ed eseguito due bozzetti nello studio di Fermo troppo piccolo e stipato per le opere di grandi dimensioni.
2015 “L’ALBERO della LUCE”: due interventi su un luogo sacro fondante per la città di Fermo in presenza di acqua, albero e altare.
a) Rovescia il Cedro morto sul colle del Girfalco riflettendolo su grandi specchi appoggiati al suolo, tale, che il suo doppio fusto penetrando la terra con la sua doppia potenza evochi l’asse del cosmo. Prefigura così l’Albero Sacro rivestito di luce viva riflessa dal sole su nastri bimetallici tattili, vibranti e sonori su tutta la struttura, al soffio del vento.
b) scava versi poetici sulla terra che evocano l’albero rovesciato e rinnovano il senso di non morte.
I visitatori vivono l’opera attraversandola nell’emozione di un passaggio sospeso nel vuoto tra due cieli opposti dilatati.
Katia Paykin, docente all’Università in Lille, estasiata dalla magia dell’allestimento, attraverserà il suo cosmo agravitazionale in piena sindrome donando la sua poesia “A tree time travel” all’opera che nella terza quartina parla di un fulmine di luce che accende l’albero e costituisce quella unione tra l’immenso firmamento e la perenne terra.
2016 TRIENNALE di ROMA, selezionato dalla commissione scientifica con l’opera “Apparizione” per l’esposizione del 2017 al Vittoriano “per la qualità dei suoi lavori ed il profondo linguaggio che connota tutta la sua ricerca”. Alla vista, solo una pagliacciata della Galleria La Pigna di Roma, seleziona molti artisti (anche manifestamente problematici e censori) protetti dal vaticano che con la complicità di Sgarbi del nobile prezzolato ”curatore” Tedeshi.
2018 Espone alla Galleria Wikhiart di Bologna “Arte Esperienze” due opere FratteNere.
2019 Espone a MATERA nell’ambito delle iniziative promosse per la ”Ccapitale Europea della Cultura.
2019 Espone un “FratoNero” alla Galleria Lacke&Farben di Berlino tramite la Gall. Farini di BO.
2019 Menzione speciale alla fiera di Arte Padova. Premio Expo Arte Bari dove espone FrattiNeri-Naturali e 2 Passaggi in cielo.
2021 XIII Biennale di Florence (con la presenza strumentale di un Pistoletto anacronistico e andato da se, di livello zero)
2022 HOARDERS/GU ACCUMULATORI, espone l’opera “MalaSorte” presso Moardes Hott Mome Gallery in omaggio a Giulietto Chiesa che dopo il 2014 aveva predetto il conflitto bellico della Nato contro la Russia.
2022 ”BUNKER FERMO NATO”Allestimento a Palazzo Catalino durante la guerra regionale-globale in Ucraina, censurato con intervento della Digos,
2023 FERMO. Inaugura alla mezzanotte di Natale nell’ex “macelleria Ercoli” tre situazioni che denunciano la “macelleria di GAZA”: un video che documenta la morte di un bimbo palestinese, sedici sacchi modellati in forme umane che simulano quelli che contengono i corpi morti dei civili dove è appoggiato il libro di Serge Thion che prova il terrorismo Israeliano e una grande immagine che rappresenta un quartiere di Gaza distrutto.
2024 FERMO. Il venerdì Santo espone in Corso Cefalonia 7 “SUL SILENZIO” mostrando sulla via opere “FratteNere”, ancora per Gaza, e Schegge nere a terra, denunciando gli eccidi del Pane, dei Forni e della Farina.