Testo critico

Tavole dell’Arte

Desueto era il narrare rettilineo quando la mano incideva queste tavolette rinvenute sotto stratificazione geolinguistiche. 

Davide, Salomone, la Regina di Saba, Guglielmo di Lorris, Giovanni di Meung, Paracelso

Infatti, camminando davanti a questi simulacri, è certamente la suggestione che influenza gli umori. Sono appunto i segni incisi sulla terracotta che risuonano accompagnati da cori e semicori narranti profanazioni simili a quelle fantastiche prodotte dal vento sulla materia, sussurrando i dubbi di un mondo in cui il pensatore era diverso da come oggi lo ritroviamo e (da viaggiatore) non posso che ascoltare e stupire alle sue lucide dichiarazioni, o alle intense ovazioni che ancora si levano da un contemporaneo ziggurat dove i guerrieri di sempre lottano, amano, tramano e uccidono.

Ur dei Caldei, Gerico, Sodoma, Gomorra, Troia, Alessandria, Cartagine, Gerusalemme, Aquileia, Pompei, Barcellona, Varsavia, Leningrado, Stalingrado, Berlino, Dresda, Hiroshima…

Queste lavagne, tinte con sovrapposizioni di argilla verde, blu, rossa, vanno a riprodurre ciò che un testimone del 2000 d.c., erede della civiltà della Sfinge, della Mezza Luna, di Atene, di Roma, della Marsigliese e, quindi, della fatiscente “Età della Ragione”, ha in sé custodito, sfidando il flusso che l’universo guida. La sua ‘scrittura’ e il metodo evocano connotazioni stilistiche difficilmente collocabili. Difatti l’autenticità varia con uno scarto di mille anni in più o in meno (misure e simmetrie non sempre rispecchiano la virtù – così come non sempre la stagione è il parametro che permette di riconoscere le differenze fra i climi e le scelte.
Ma quei tell, quegli strati di arena, contengono, se sfogliati attentamente, modi e costumi, grado di civiltà e di sapere comuni a qualsiasi generazione, però non i principi che, reconditi, nei secoli hanno infiammato il cuore degli uomini in preghiera o in rivolta.

Amava la ragione, ma non sopportava ciò che la realtà riversava nell’attimo

L’esperienza mi suggerisce che ogni tell va tagliato verticalmente, per poi essere letto orizzontalmente dalle mani dello scienziato, perciò, scorrendo queste forme, mi sovviene al ricordo sia un cataclisma, a cui ho assistito (la sparizione di un’isola – forse Santorino), sia l’immagine di un baro che, con l’aiuto di un semiotico, volontariamente ha sconvolto l’ordine logico del ritrovamento, confondendo nomi e connotazioni, allusioni, allegorie, rimandi, impronte, per sfuggire a una qualsivoglia costrizione ideologica o teorica.

L’acqua (ormai) putrida non è più bevibile dal saggio

Dette presenze hanno il potere di far sprofondare il ricercatore in una paura improvvisa e atavica perché, eleggendosi a ciceroni di tali scritture, con le loro ali nere avvolgono e fanno rabbrividire; infatti, nonostante pare manchino di una causa reale, sono ricche di un effetto che diviene razionalmente agghiacciante, dove le improvvise dissonanze e cadute spezzano l’omogeneità del progetto, affermandone la perdita e accusandone l’abbandono.

A Babilonia si adoravano 350 dei e convivevano tutte le razze; un solo incastro mancato avrebbe potuto far scomparire la falsa passione e ciò che sotto tramava. Il dio del fiume solo questo attendeva

Quindi oso dire: forma come riprova all’infinito di noi stessi, come identità di un creatore che, nella ricerca di compiutezza, abbandona i nomadismi fisici e culturali, i sogni fatui, i cavilli critici, per riconoscersi nella semplicità del gesto.

Se un pianeta è minato al suo interno dall’equivoco perché l’individuo non può rifiutare le strutture di una società da lui stesso generata?

Affidandoci ai lavori di Gabriele Ercoli ripercorriamo quelle qualità (e quell’animo) che rendono possibile il ritrovarci “nel continuo rigenerarci”. La mutazione, nella staticità di una primordiale origine. Quasi una ‘coniunctio oppositorum’, elevata a vortice di coscienza e di scorrimento. Quindi il sostenere un duro destino, consapevolmente e coraggiosamente, a scapito dell’esito finale, e della possibile (ed inevitabile) scoperta.

Già da anni mi aggiro tra frammenti e scavi di epoche ormai scomparse, riflettendo sull’artista, che è insieme depositario e archeologo perchè appartiene alla ristretta cerchia di chi sa intuire, poi giurare, poi raccontare sugli uomini, scoprendone gli avvenimenti, fra passati poteri o vicissitudini presenti.
Non a caso lo spazio e il tempo sono gli interpreti della vita quotidiana e dei grandi segreti: costruzioni, macchinazioni, invenzioni mirabolanti, città e templi – nonché della distruzione e del saccheggio di essi. E solo gli scrittori/archeologi riconoscono le impronte/indizi che permettono di rivelare, anche se parzialmente, quei misteri, poiché il linguaggio e i vari generi compositi, che fiorirono e poi scomparvero, fanno ancora parte di un codice simbolico comprensibile a pochi, o ai ‘sacerdoti’ che da millenni ne detengono le chiavi.

Gian Ruggero Manzoni 

 

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